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Letto dal 9 al 25 aprile 2016
Il mio voto:
Dopo aver letto la
mia recensione de Il buio oltre la siepe (recensione
in inglese che si trova qui per chi può
interessare), una cara amica mia virtuale su Goodreads mi ha chiesto come mai
gli avevo dato solo tre stelle. La mia risposta è stata che di solito do
tre stelle ai libri che sembrano rivolgersi più al mio cuore e meno alla mia
mente.
Ebbene, ho avuto la
stessa impressione mentre stavo leggendo L’amica
geniale di Elena Ferrante: cioè di aver sotto gli occhi un libro
commovente, coinvolgente, gradevole – insomma che si merita tutto l’elenco di
epiteti attribuite di solito ai buoni libri – eppure mirabile, durabile, sempiterno, come lo è la grande
letteratura… proprio non lo so.
Il romanzo comincia
con una prolessi che annuncia il cambiamento dei tempi narrativi: dopo una
conversazione con il figlio della sua amica di cui ha appreso la sparizione di
quest’ultima, l’io narrante dichiara maliziosamente che comincia a scrivere
questi ricordi per punirla di aver voluto “non solo sparire lei, adesso, a
sessantasei anni, ma anche cancellare tutta la vita che si era lasciata alle
spalle.” Infatti, in un’intervista pubblicata nel Corriere della sera l’autrice confessa
che voleva da molto tempo scrivere una storia sull’impossibilità di sparire
senza traccia, visto che c’è sempre un parente oppure un amico da fare “da
testimone inflessibile di ogni piccolo o grande evento della vita” dell’altro.
Così comincia la
storia di Elena Greco (la narratrice) e Raffaella Cerullo (la sua amica) o Lenù
e Lila, in questo primo volume con la loro infanzia e poi adolescenza.
Un’amicizia tumultuosa, dove si mescolano generosità e pettegolezzi, rivalità e
complementarità, invidia e ammirazione e soprattutto un’impossibilità di vivere
l’una senza l’altra, come è ovvio in questo brano dove Lenù, malgrado l’aver
fatta, cioè aver continuato gli studi che Lila non ha potuto proseguire per mancanza
di soldi, ha un complesso d’inferiorità davanti alla creatività e abilità della
sua amica, che lavorava con entusiasmo a un modello di scarpe concepito da lei
stessa:
Dovetti ammettere presto che ciò che facevo io, da sola, non riusciva a farmi battere il cuore, solo ciò che Lila sfiorava diventava importante. Ma se lei si allontanava, se la sua voce si allontanava dalle cose, le cose si macchiavano, si impolveravano. La scuola media, il latino, i professori, i libri, la lingua dei libri mi sembrarono definitivamente meno suggestivi della finitura di una scarpa, e questo mi depresse.
Effettivamente, non è
mica male questa trovata narrativa che fa dalle scarpe un simbolo del destino di
Lila, un leitmotiv che sottolinea la differenza fra sogno e realtà, fra talento
e mediocrità, finalmente fra rione e mondo. Lila, rassegnata all’idea di non
andare più alla scuola, vede nel calzolaio di suo padre una possibilità di
sfuggire alla povertà e, insieme a suo fratello (ma senza l’accordo del padre),
comincia a fare un paio di scarpe di lusso, in cui entrambi mettono i loro
sogni di ricchezza e celebrità. Purtroppo, queste scarpe fatte e disfatte
tantissime volte per raggiungere la perfezione non acquisiscono mai le valenze
magiche di quelle di Dorothy, invece seguono la stessa sorte di Lila: prima
disprezzate da un padre che ha paura di rinunciare alla sua condizione di
semplice “scarparo” per un capriccio, un sogno a suo avviso irrealizzabile, poi
odiate da un fratello che ci aveva messo troppe speranze, poi agognate da due
giovani che pensano conquistare l’amore di Lila attraverso la loro acquisizione
e finalmente regalate, l’ultimo tradimento, dall’uomo che Lila amava proprio
nel giorno del loro matrimonio all’uomo che lei disprezzava di più.
In uno stile molto
scorrevole (e questa scorrevolezza è stata notata e lodata anche dai critici
più acerbi del libro) si fa la ricostituzione di un mondo pittoresco nella sua
oscurità, il “rione”, una zona incerta ai confini di Napoli, una trappola della
povertà e violenza, un buco nero che ingoia indiscriminatamente drammi e farce,
stronzerie e genialità, bruttezza e bellezza. Qui si da in spettacolo la vedova
Melina, litigando violentemente con la moglie del suo vicino di casa di cui si
è innamorata sperdutamente. Qui è ucciso don Achille, una figura da far
spavento ai piccoli e ai grandi ugualmente. Qui vive la maestra Olivieri che
riesce a convincere i genitori di Lenù (ma non quelli di Lila, sfortunatamente)
di lasciarla continuare a studiare. Qui si spara e si minaccia con la pistola e
i padri si arrabbiano e buttano via, letteralmente, i loro bambini:
Avevamo dieci anni, a momenti ne avremmo fatti undici. Io stavo diventando sempre più piena, Lila restava piccola di statura, magrissima, era leggera e delicata. All’improvviso le grida cessarono e pochi attimi dopo la mia amica volò dalla finestra, passò sopra la mia testa e atterrò sull’asfalto alle mie spalle.
Infine, c’è una sorprendente
forza evocatrice nelle descrizioni sia dei caratteri e dei paesaggi da mettere in dubbio l’opinione di Jacopo Cirillo,
posta all’inizio della sua recensione un po’ cattiva J, quando dice che il
romanzo “è una lettura perfetta per chi legge poco”. Effettivamente, i suoi
ritratti, per esempio, sono sempre pieni di vita e colore, sia quando sono
minuziosi, come questo di Lila da bambina precoce e selvaggia:
La sua prontezza mentale sapeva di sibilo, di guizzo, di morso letale. E non c’era niente nel suo aspetto che agisse da correttivo. Era arruffata, sporca, alle ginocchia e ai gomiti aveva sempre croste di ferite che non facevano mai in tempo a risanare. Gli occhi grandi e vivissimi sapevano diventare fessure dietro cui, prima di ogni risposta brillante, c’era uno sguardo che pareva non solo poco infantile, ma forse non umano. Ogni suo movimento comunicava che farle del male non serviva perché, comunque si fossero messe le cose, lei avrebbe trovato il modo di fartene di più.
…sia quando sono
fulgoranti, rivelando un vero talento dell’autrice per lo sketch, come quest’immagine
plastica da suggerire il passaggio di Lenù dall’infanzia all’adolescenza:
In quell’anno mi sembrò di dilatarmi come la pasta per le pizze. Diventai sempre più piena di petto, di cosce, di sedere.
In ogni caso, J.
Cirillo sbaglia anche quando identifica l’io narrante con un narratore
omnisciente (e non solo perché mettere insieme i due tipi di narratori è una contradizione in termini, ma anche
perché c’è un solo punto di vista e non affatto obiettivo), ma devo dargli
ragione quando afferma che le due amiche sono abbastanza sgradevoli nella loro
continua caccia alla lode che in fin dei conti rivela solo il fatto che nessuna
è all’altezza della relazione definita dal titolo – la genialità: “È per questo
che Elena mi sta antipatica. Non perché è l’amica perfettina di Lila la
ribelle, non perché ha successo e si fa mille problemi continuamente su tutto,
non perché a volte sembra tirarsela mentre altre pare una disgraziata che si
autosabota. Ed è per questo che Lila mi sta antipatica. Non perché è l’amica
intelligente che non si applica e che se si applica si applica male, non perché
è strana e non si capisce bene mai quello che ha in testa, non perché è
esageratamente eccentrica e problematica in tutto quello che fa.”
Ah, dar ce-ai cu inima ta, Stela? Nu poate avea și ea un cuvânt de spus? O consideri mai prejos decât mintea? :D
ReplyDeleteDe acord, totuși, cu faptul că această carte se adresează mai degrabă inimii decât minții, și probabil că da, e o carte pe gustul celor care citesc rar, dar asta nu înseamnă că e automat o lectură proastă pentru cei care citesc cărți mai serioase. Pe mine m-au fermecat scriitura, poveștile, personajele, lumea interioară și cea exterioară analizate și recreate minuțios.
Ah, n-am înțeles însă prea bine dacă ți-au displăcut Lenu și Lila...
Haha, am citit o parte din recenzia ta în italiană și altă parte cu ajutorul lui Google translate, care a transformat-o pe Lenu în Nuclear Energy Act - hilarious! :)))
„...manages to convince the parents of the Nuclear Energy Act (but not those of Lila, unfortunately) to let her continue studying.”
Ha, ha mi-ai facut ziua de dimineata cu Nuclear Energy Act.
DeleteIo l-am contrazis p-ala care a zis ca romanule e lectura facila (nu m-a tradus Google cum trebe, hi, hi), cartea mi-a placut, zau ca da, uiti mereu ca la mine trei stele nu sînt negative :(. Doar ca n-o consider o capodopera. Pe de alta parte, amicii mei italieni nu sînt deloc încîntati de celebritatea lui Ferrante, ba unul (una) mi-a zis ca avea impresia ca cititorii din strainatate au gusturi mai rafinate… m-am abtinut sa ma supar (hi, hi), ca am înteles ideea - cînd literatura ta numara atîtia monstri sacri îti permiti sa faci comparatii mai drastice. Pe de alta parte, un alt italian mi-a scris pe GR un comentariu kilometric în care spunea ca L'amica e a treia lui favorita, dupa Karenina si Crima si pedeapsa - deci, ca de obicei, totul e chestie de perceptie si de gust, ca nu poti suspecta pe cineva caruia i-a placut Tolstoi si Dostoievski, nici ca citeste rar nici ca n-are criterii estetice clare :D :D :D.
Mersi Ema scumpo, de vizita si comentarii.
Mda, a mers mai greu cu italiana la recenzia asta (nu are rost să mă întreb de ce, răspunsul e evident: îmi lipsește vocabularul :D ), așa că a trebuit să apelez la traducere - a fost mult mai bine așa, măcar ne-am distrat. :D :D
DeleteAșa e, trebuie să-mi reamintesc mereu că la tine trei stele sunt totuși de bine. Ar trebui să-ți pui un banner mare pe blog cu „Three-star books deserve to be read”. :)) Acum, că am aruncat un ochi la recenzia cărții lui Eco și am văzut tot trei stele, sunt mai împăcată cu nota asta. :))
Ioi, chiar mă surprinde reacția amicilor italieni, dar poate că ceea ce spui tu e chiar explicația (oare au și eu un soi de snobism literar, ca românii?). Celălalt amic pare mai relaxat. :D
*three stars :)
DeleteHe, he, sa stii ca m-am gîndit la tine cînd i-am date trei stele Cimitirului… . À propos de stele, mai am o amica, tot italianca, care da frecvent doua stele cartilor care-i plac, cele de trei stele la ea sînt la mine de patru :). Cît despre snobismul lor literar - senz'altro ca-l au (na, ca sa te mai pun sa mai cauti ceva pe Google, încetul cu-ncetul te-nvat italiana!)
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